Melodie dal passato… l’Hydraulis

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FotoArteStile oggi alla scoperta di un gioiello musicale di epoca Greco-Romana, che dalla filosofia greca alle celebrazioni, ai ludi ed alle corti medievali e rinascimentali, arriva ai giorni nostri ad occupare un ruolo importante nella liturgia Cattolica

L’Hydraulis, creato più di 2000 anni fa, è il più antico antenato degli organi moderni; e probabilmente anche il primo strumento a tastiera mai creato.

Si tratta di un organo a canne del III secolo a.C. che fu realizzato dall’ingegnere ed inventore greco Ctesibio di Alessandria, il cui sistema di funzionamento sfruttava letteralmente le virtù di una “cascata” di acqua. In pratica, l’hydraulis usava la pressione dell’acqua per pompare aria nelle canne, ed una tastiera a 25 tasti per creare le note, esigendo le manovre di ben tre persone per il suo utilizzo, dove due si occupavano di pompare aria nello strumento usando due pistoni-mantici, mentre la terza eseguiva la melodia

Il suo impiego, in epoca ellenistica, era principalmente connesso ad usi cerimoniali legati alla filosofia greca, e si racconta che inizialmente veniva usato per simulare il canto degli uccelli. Nella civiltà romana e bizantina, poi, venne utilizzato soprattutto per celebrare festività pubbliche ed accompagnare ludi e gare, e fu proprio questo legame con religione pagana e spettacoli pubblici che ne rallentò di molto l’assunzione di quel ruolo chiave che, ad oggi, l’organo svolge all’interno della liturgia della Chiesa cattolica; mansione che nella pratica ebbe inizio solo nell’alto Medioevo inoltrato.

Oggi possiamo conoscere l’aspetto ed il funzionamento di questo antico strumento grazie a mosaici (da notare in uno di essi la presenza, tra i musicisti, anche di una donna dall’acconciatura tipica di epoca Flavia, intenta a suonare proprio un hydraulis), bassorilievi, terracotte, piccole lucerne e medaglie (dette “contorniati”, che secondo un’opinione diffusa tra gli studiosi erano delle tessere d’ingresso per assistere agli spettacoli urbani, riconducibili alla cosiddetta pecunia spectaculis, o anche dei premi o delle pedine per giochi, mentre alcuni li ritengono una sorta di amuleti), venuti alla luce in vari siti archeologici sparsi per il mondo, ma anche attraverso svariate opere letterarie; ascrivibili non solo allo stesso Ctesibio. Ne parla, ad es., il suo allievo Filone di Bisanzio, ma anche Vitruvio, Ateneo ed Erone di Alessandria

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L’Hydraulis ed il Cornum in un mosaico pavimentale rinvenuto nel 1852, in una antica villa romana del III / II secolo a.C. a Nennig, Germania.
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Mosaico pavimentale Romano risalente al II-I Sec. a.C., ritrovato nella città di Zliten in Libia (lungo la costa Est di Leptis Magna), scoperto dall’archeologo Italiano Salvatore Aurigemma nel 1913 ed esposto al Museo Archeologico di Tripoli. L’archeologo, nella sua opera “I mosaici di Zliten” del 1926, propone una datazione dell’era Flaviana (69-96 d.C.). Un ipotesi basata su tre argomentazioni, tra cui l’acconciatura della donna musicista intenta a suonare proprio l’Hydraulis; che era tipica dell’epoca Flavia.
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Musicisti che suonano il salpinx (antica tromba) e l’hydraulis (organo idraulico), terracotta, collezione del Museo del Louvre (dipartimento di archeologia greca, etrusca e romana)

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Nel 1931 poi, durante uno scavo in Ungheriasono venuti alla luce anche dei resti archeologici dello strumento musicale, accompagnati da un’iscrizione risalente al III secolo d.C.; un ritrovamento che ha consentito di ricostruire lo strumento nonostante alcune componenti non siano giunte fino ai giorni nostri.

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Ricostruzione di un Hydraulis in funzione, Römerfest Xanten (festival biennale di rievocazione storica dell’Antica Roma di Xanten, in Germania).

Di seguito, è possibile vedere un video in cui Justus Willberg, un grande esperto dello strumento, esegue un breve brano attraverso una copia di questo antichissimo strumento. Anche questo hydraulis necessita di due persone che manovrano con i pistoni nel modo che si può vedere dalla foto precedente, sebbene nel video non si vedono. Come nello strumento originale, ci sono 25 tasti connessi alle canne di bronzo, in grado di riprodurre due ottave, e la pressione nelle canne veniva controllata con ventiquattro piccole valvole.

Successivamente, nel 1992, nell’antica città macedone Dion (situata nei pressi del monte Olympus in Grecia) fu ritrovato il più antico esemplare di Hydraulis, risalente nientemeno che al I secolo a.C., composto da un totale di 24 canne di diversa lunghezza e dalla forma leggermente conica nella loro estremità inferiore (che corrispondono al sistema perfetto dell’antica musica greca, consistente in una scala cromatica ed una diatonica). I resti di questo antico Hydraulis sono esposti al Museo Archeologico di Dion.

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Hydraulis del I secolo a.C. rinvenuto nel 1992 durante degli scavi a Dion, Grecia – Museo Archeologico di Dion – Fonte

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Hydraulis del I sec. a.C. rinvenuto a Dion, Grecia – Fonte: Zde [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)%5D
In seguito sono stati rinvenuti altri due esemplari di hydraulis, uno scoperto a Pompei ed ora esposto nel museo archeologico di Napoli, in Italia, e l’altro recuperato nell’area archeologica dell’antica città di Aquincum, in Ungheria, ed ora esposto nell’Aquincum Museum a Budapest.

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Fonti Iconografiche:

Foto di copertina :  CORNU UND HYDRAULIS UNTERMALEN DAS GESCHEHEN IN DER ARENA (VILLA NENNIG): Q. Albia Corvina, Musik: Einleitung – Musik in der römischen Antike”, MOS MAIORUM – DER RÖMISCHE WEG, 10/2014

Foto composita “Hydraulis del I secolo a.C. rinvenuto nel 1992 durante degli scavi a Dion, Grecia – Museo Archeologico di Dion” :   ‘Vestígios arqueológicos de um órgão hidráulico (c. séc. I a. C.) encontrados em 1992 numa escavação dirigida pelo professor Dimitris Panternalis na cidade de Dion, Grécia – Museu de Arqueologia de Dion, Grécia – Fonte: João Fonseca, “História do órgão: Origem e evolução durante o período greco-romano”, Música da Idade Média, 18/09/2014  ;  “Water organ” https://en.wikipedia.org/wiki/Water_organ

Foto “Hydraulis del I sec. a.C. rinvenuto a Dion, Grecia” :   https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Hydraulos,_2nd_century_AD,_AM_Dion,_Diom435.jpg  , attribuzione:   Zde [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]

Foto “Hydraulis ritrovato a Pompei, Italia” :  Carlo Raso, “Hydraulic syrinx or organ, from Pompeii – Naples Archaeological Museum”, https://www.flickr.com/photos/70125105@N06/6876407639

Foto “Hydraulis ritrovato ad Aquincum, Ungheria” :  https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Roman_pipe_organ_Aquincum.jpg  ; attribuzione:  Jerzy Kociatkiewicz from Colchester, United Kingdom [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)]

Foto “Hydraulis ritrovato nella Colonia Romana di Aquincum, ritrovati circa 400 pezzi bronzei” :  João Fonseca, “História do órgão: Origem e evolução durante o período greco-romano”, Música da Idade Média, 18/09/2014

Foto “Resti metallici di un organo Romano del III sec. a.C. rinvenuto ad Aquicum ed una moderna reinterpretazione” :  Johann von Katzenelnbogen, The Utrecht Psalter and its Furnishings – Part IV, 23/04/2017

Foto “Ricostruzione di un Hydraulis in funzione, Römerfest Xanten”:  Q. Albia Corvina, “Musik: Einleitung – Musik in der römischen Antike”, MOS MAIORUM – DER RÖMISCHE WEG, 10/2014

Foto “Musicisti che suonano il salpinx (antica tromba) e l’hydraulis (organo idraulico), terracotta, collezione del Museo del Louvre (dipartimento di archeologia greca, etrusca e romana)” :   https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Salpinx_hydraulis_players_Louvre_CA426.jpg

Fotografie mosaici :  Angelo Petrone, Ecco come suonava l’hydraulis, uno strumento del III secolo a.C”  ;  Musicians from the Zliten mosaic” ;   Aglaia McClintock, “Per un’iconologia dei supplizi – www.ledonline.it/rivistadirittoromano”

Foto bassorilievi, lucerne e medaglie/contorniati :  Augusto Mastrantoni, “Dall’Hydraulis dei Greci all’Organo portativo medievale”, testo mandato in rete nel 2007, revisionato dall’autore il 31 gennaio 2010

Altre fonti:

Salvatore Aurigemma, “I mosaici di Zliten”, Società Editrice d’Arte Illustrata, Roma, 1926

Douglas Bush e Richard Kassel, “The Organ, an Encyclopedia”, Routledge, 2006, p. 327

Centro studi classicA, coordinato da Monica Centanni e Giacomo Calandra di Roccolino, “Nota sui contorniati”, Rivista di Engramma (open access) ISSN 1826-901X, 50, luglio/settembre 2006

EMAProject European Music Archaeology Project, Justus Willberg plays the Hydraulis”, Youtube, 09/11/2016

Salvatore Galeone, Antico organo ad acqua torna a suonare ad Atene”, In A Bottle Magazine, 10/05/2018

M.C. Martinelli, con la collaborazione di Francesco Pelosi e Carlo Pernigotti, “Aspetti dell’esperienza musicale greca in età ellenistica”, EDIZIONI ETS, Pisa, 2009

Angelo Petrone, Ecco come suonava l’hydraulis, uno strumento del III secolo a.C, Scienze Notizie – tutte le news dal mondo scientifico, 10/10/2017

Agnès Vinas, La mosaïque de l’amphithéâtre de Zliten – Problèmes de datation”, mediterranees.net

ZonWu, Ascolta l’hydraulis, l’antico organo greco ad acqua”, VitAntica, 07/10/2017

en.wikipedia.org :    Dion, Archaeological Museum 

macedonian-heritage.gr :   The Museums of Macedonia, Archaeological Museum Dion  

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ENGLISH VERSION:

(photographs are visible in the Italian version)

A Melody From the Past… the Hydraulis

Today, FotoArteStile is going to rediscover a real musical jewel of the Ellenistic-Roman era, playing from the ancient greek philosophy to celebrations, ludus, Medieval and Reinassance Courts up to the nowadays important rule in the Catholic liturgy.

Created more than 2000 years ago, as a matter of fact, the Hydraulis is the most ancient ancestor of the modern pipe organ; and probably even the world’s first keyboard instrument ever.

As far as the origins and functioning are concerned, the Hydraulis was created by the Greek engineer and inventor Ctesibio di Alessandria in the 3rd century BC, undoubtedly operating by converting the dynamic energy of water, typical of “waterfalls”, into air pressure to drive the pipes. As a matter of fact, a 25-key keyboard and three persons were needed to create notes; thus one of them playing the melody while the others were pushing the air using two piston valves.

With the use of it in mind, they say that it was used to recall the birds’ singing and for cerimonial purposes at the beginning, as typical for the Greek philosophy. Afterwards, from the Hellenistic – Ancient Roman era up to the Byzantine Early Middle Ages, in fact it had been generally used for cerimonies, rituals, processions, banquets, ludus and races at the hippodrome. A pagan use which had opposed its actual liturgical role for many years.

Concerning its appearance, archaeologists brought to light mosaics (one of them depicting also a woman musician, in typical Flavian hairstyle, playing this instrument) as well as terracottas, bass-reliefs, oil lamps and even medals called “contorniati” (regarded by some scholars as the “pecunia spectaculis”, that were maybe badges or prizes for shows and plays as well as pieces for games, or a sort of talismans by other accademics instead) revealing its shape; toghether with some written sources that better explained its form and functioning. Literature is not only attributable to Ctesibio, but it’s also referable to its pupil Philo of Byzantium, as well as to Vitruvius, Athenaeus and Hero of Alexandria.

In 1931, archaeological remains of an Hydraulis was brought to light in Hungary; together with an iscription dating back to 3rd century AD. As a result, the reconstruction of it becames finally possible; notwithstanding some components were unfortunately missed by then.

In the Italian version, you can view the musician Justus Willberg, a renowned player specialised on the Roman hydraulic organ, while playing a copy of this ancient instrument. In fact, that copy is similar to the one you can see in the picture just above it in the Italian version; taken at the Roman Festival in Xanten (Germany). Consequently, two persons pushing the air through the two piston valves were needed the same, even though they were out of shot during filming.

Afterward, in 1992, the oldest instrument of that type was discovered in Dion, Greece. Dating back to 1st century BC, it was composed of 24 pipes of different lenghts, with a conical lower end, that were definitely corresponding to the perfect system of the ancient-greek music consisting in two scales, chromatic and diatonic. The archaeological remains of this hydraulis are showed at the Archaeological Museum in Dion.

Finally, other two hydraulis had been later discovered, one of them in the Italian famous archeological site of Pompeii, and another one inside the historical site of the ancient Acquincum in Hungary. Nowadays, both of them are showed in important Museums in Italy and Hungary (the Italian National Archaeological Museum of Naples, and the Hungarian Aquincum Museum in Budapest, respectively).

For sources and pictures: please, see Italian version

Le prime fotografie della storia

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“… una scoperta che potrebbe dare un contributo così grande al progresso dell’arte e della scienza”   François Jean Dominique Arago

Le proprietà della luce erano note sin dal Medioevo, eppure è soltanto nei primi anni del XIX secolo che iniziano a prendere forma le prime fotografie, grazie a tre autori e tre differenti scoperte metodologiche realizzate in Francia e Gran Bretagna.

La prima scoperta, dalla quale scaturì quella che è considerata la prima fotografia della storia, risale al 1826 ed è attribuita all’inventore Francese Joseph Nicéphore Niépce; creatore del “photoresist” e del processo fotografico chiamato “eliografia” (ossia “disegnare con il sole”). Utilizzando una gelatina fotosensibile (il bitume di giudea), ed una mistura di olii come solvente per fissare l’immagine, attraverso un lungo tempo di esposizione (circa 8 ore per la prima foto, motivo per cui gli edifici appaiono illuminati dal sole sia da destra che da sinistra) il procedimento consentiva di ottenere, su una lastra di vetro o metallo, un’immagine positiva permanente in bianco e nero; sebbene solo vagamente definita nei dettagli e non riproducibile in copie multiple. L’originale della prima fotografia della storia, intitolata “Vista dalla finestra a Le Gras”, è oggi esposta all’Harry Ransom Center dell’Università del Texas, ad Austin, ma è piuttosto curioso il fatto che, in tutti i testi storiografici, l’immagine che appare come “la prima fotografia esistita” sia, in realtà, una riproduzione ad acquerelli realizzata da Helmut Erich Robert Kuno Gernsheim intorno al 1952; senza neanche il confronto con l’originale. Fino agli inizi del XX sec., poi, era sopravvissuta anche la seconda fotografia della storiauna natura morta di una tavola apparecchiata realizzata nel 1827 sempre da Niépce, ma l’originale su vetro si presume sia andato accidentalmente distrutto; benché ne resti oggi una riproduzione a stampa del tardo XIX sec. Di seguito è possibile vedere queste prime fotografie:

View_from_the_Window_at_Le_Gras,_Joseph_Nicéphore_Niépce - FotoArteStile
“Vista dalla finestra a Le Gras”, meglio nota come “View from the Window at Le Gras” (titolo originale “Vue de la fenêtre du domaine du Gras”, di Nicéphore Niépce, Saint-Loup-de-Varennes, Saône-et-Loire, Bourgogne, France, 1826), riproduzione realizzata dallo storico della fotografia, fotografo e collezionista Helmut Gernsheim nel 1952 circa.
View_from_the_Window_at_Le_Gras,_by_Joseph_Nicephore_Niepce,_1826_or_1827,_France_-_Harry_Ransom_Center_-_University_of_Texas_at_Austin_-_DSC08424 - FotoArteStile
La fotografia originale di Niépce del 1826, nella teca d’esposizione all’Harry Ransom Center nel 2004. La visibilità dell’immagine dipende dal punto di vista, ma grazie alla rappresentazione di Gernsheim è possibile intravedere le sagome dei principali elementi della scena.
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“Tavola apparecchiata” (eliografia di Nicéphore Niépce ottenuta con una lastra di vetro ricoperta di bitume di Giudea, realizzata nel 1827), riproduzione a stampa del tardo XIX sec.

La seconda scoperta, che grazie all’intervento di François Jean Dominique Arago (scienziato di spicco negli ambienti scientifici e governativi francesi) verrà premiata dal governo francese con il riconoscimento di un vitalizio per meriti artistici al suo autore, risale al 1837 ed è ascrivibile all’artista, fisico e chimico Francese Louise-Jaques-Mandé Daguerre; il padre del “Dagherrotipo”. Una metodologia che consentiva di ottenere, su una sottile e delicata lastra di rame argentato resa fotosensibile grazie allo ioduro d’argento, un’immagine positiva latente in grado di produrre, in monocromatico, delle sfumature e dei particolari sorprendenti. “Uno specchio dotato di memoria”, è così che la definì il medico, insegnante e scrittore statunitense Oliver Wendell Holmes nel suo saggio “Sun-Painting and Sun-Sculpture”; una definizione che ben si addice al dagherrotipo e che lo accompagnerà nel tempo. Sebbene, poi, l’immagine ottenuta risultasse fragile e non riproducibile in copie multiplela dagherrotipia fu comunque un metodo rivoluzionario, il primo ad essere commercializzato ed ampiamente apprezzato con ben 30 mln di lastre prodotte in tutto il mondo fino al 1860; nonché fonte di ispirazione per ulteriori esperimenti nel campo. Ad oggi risultano sopravvissuti pochi degli originali ripresi da Daguerre, ma un piccolo vanto Italiano è la presenza, all’interno della “Biblioteca comunale di Imola”, di un dagherrotipo del 1839 unico per rarità e pregio recante la firma di Alphonse Giroux (il cognato dell’inventore Daguerre), donatole nel 1843 dalla cantante lirica e valente pittrice imolese Anna Fanti assieme alla seconda edizione del famoso manuale di Daguerre «Historique et description des procédés daguerréotype et du Diorama»; illustrante il procedimento dagherrotipico. E’ un onore per l’Italia visto che, ad oggi, restano solo 12 dagherrotipi firmati da GirouxDi seguito è possibile vedere alcuni dei primi dagherrotipi (cliccare sulla prima immagine per aprire la galleria), e per i più curiosi è, inoltre, possibile fruire on-line di un vasto archivio di dagherrotipi Europei; grazie alla piattaforma Daguerreobase ed alla biblioteca digitale Europeana.

La terza scoperta, che sarà poi alla base della fotografia analogica, risale al 1835 ed è ascrivibile all’eclettico inglese Henry Fox Talbot, pioniere della fotografia Vittoriana e creatore del metodo “negativo/positivo” (anche detto “calotipico”, o “a carta salata”). Tramite l’uso di ioduro d’argento e con un tempo di esposizione di mezz’ora, la calotipia permetteva di ottenere su carta, originariamente tramite delle piccole fotocamere artigianali costruite da Talbot, una piccola immagine negativa (in cui, all’inverso dei metodi precedenti, la luce creava le zone scure mentre le ombre creavano quelle chiare) che, a sua volta, consentiva di riprodurre più copie positive della stessa. Nonostante il potenziale della riproducibilità multipla, la calotipia non riuscì ad attrarre il successo sperato, battuta dal contemporaneo Dagherrotipo sia per il ritardo di Talbot nella presentazione della sua invenzione alla Royal Society, che permise a Daguerre di anticiparlo, sia per una minore nitidezza rispetto al rivale. Tuttavia, la nascente industria della stampa tipografica e dei giornali ne fecero ampio utilizzo, e restano a Talbot i primati di essere riconosciuto come autore indiscusso, rispettivamente: della prima fotografia negativa (risalente al 1835), del primo libro commercializzato con fotografie applicate (“The Pencil of Nature”, pubblicato dal 1844 al 1846) e del processo di “stampa a contatto” (che dopo il 1860 riuscirà a conquistare praticamente tutto il mercato per oltre un secolo). Oggi, la sua casa nel Wiltshire ospita un museo della fotografia, il Fox Talbot Museum” di Lacock, dove tra l’altro vengono conservate gran parte delle sue opere, compresa la sua prima fotografia (“Latticed window”); che risale al 1835 ed illustra una piccola finestra della galleria sud dell’Abbazia di Lacock. Di seguito è possibile vedere alcuni dei calotipi realizzati da Talbot, cliccare sulla prima immagine per aprire la galleria:

In sostanza, è grazie a questi pionieri ed ai loro sforzi che la fotografia ha potuto muovere i suoi primi passi, percorrendo una strada ricca di sfaccettature che l’ha resa, in breve tempo, arte e strumento di documentazione al tempo stesso. Uno strumento molto versatile in grado di guidare, stupire, divertire ed ammaliare, ma anche di far riflettere, rompere e stravolgere, toccando delle corde emozionali in un modo che, probabilmente, nessuno avrebbe mai potuto immaginare prima.

Fonti iconografiche:

Silvia Mirri (Biblioteca comunale di Imola), Riccardo Vlahov (IBC), Ali di argento, Rivista “IBC” XII, 2004, 1, IBC – Istituto per i beni artistici culturali e naturali, Regione Emilia-Romagna

Maurizio Rebuzzini, Latticed Window, William Henry Fox Talbot, 1835, fotographiaonline.com

wikipedia.org e commons.wikimedia.orgVista dalla Finestra a Le Gras;  Niepce table;  The oriel window of Lacock Abbey, Wiltshire, England. The earliest surviving paper negative photograph ;    Louis-Jacques-Mandé Daguerre Künstler.1843 ; Hippolyte Victor Valentin Sebron 1801-1879 ;  Hippolyte_Sebron ;  Boulevard du Temple, Parigi, Terzo arrondissement, Dagherrotipo, Louis Jacques Mandé Daguerre.  The Pencil of Nature ‘The Ladderw -Plate 14   Bust of Patroclus;   The Reading Establishment, A picture taken by William Fox Talbot in 1846;   ‘A View of the Boulevards at Paris’ (1844);    Albero di quercia in inverno, stampa su carta salata, 1842-43, Getty Museum, Los Angeles;

The MET 150 – The Metropolitan Museum of Art, The Pencil of Nature, 1844-46, William Henry Fox Talbot

Altre fonti:

AA.VV., “Enciclopedia pratica per fotografare”, Introduzione di Arturo Carlo Quintavalle, Autori Vari, Fabbri Editori, 1979

AA.VV., “Encyclopedia of Nineteenth-Century Photography”, a cura di John Hannavy, volume 1, A-I, pag. 368

Giulia Agostinelli, Quando la fotografia era una lastra d’argento, MiBACT – news, sala stampa, Redattore: ANGELINA TRAVAGLINI

Tom Ang, “Storia della fotografia – 1, I primi passi della fotografia”, Gruppo Editoriale l’Espresso S.p A., Roma, 2015

M. Susan Barger and William B. White, “The Daguerreotype: Nineteenth-Century Tecnology and Modern Science”, The Johns Hopkins University Press, Baltimore and London, 2000

Timothy Dow Adams, “Light Writing & Life Writing: Photography in Autobiography”, The University of North Carolina Press, Chapel Hill and London, 2000

Istituto Italiano di Fotografia, Henry Fox Talbot – Il pioniere della fotografia, Tesionline – share your knowledge, 03/03/2008

Library of Congress,  The Daguerreotype Medium”

National Trust, Lacock Abbey, Fox Talbot Museum and Village

Daguerreobasehttp://www.daguerreobase.org/it/

Europeana,  https://www.europeana.eu/it

bim (Biblioteca comunale di Imola),  http://bim.comune.imola.bo.it/

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ENGLISH VERSION

The World’s First Photographs Ever Taken

(photographs are visible in the Italian version)

“… this discovery which could contribute so much to the progress of art and science” François Jean Dominique Arago

As a matter of fact, properties of light had been already known since the Middle Ages. However, the first photographs only appeared in the early XIX century; thanks to three different authors and processes coming from France and UK.

The first photograph ever was taken by the French inventor Joseph Nicéphore Niépce in 1826, thanks to his innovative photographic process called “Heliography” (name of Greek derivation that means “drawing with light”). In fact, Niépce managed to obtain a blurry but permanent, unreproducible, black and white, positive image onto a glass or metal plate which had been coated with a light-sensitive material called “bitumen of Judea”, through using a really slow “shutter speed” (of about 8 hours for the first picture, thus obtaining sunlighted both, left-side and right-side of the building) and a mixture of oils as a solvent to fix the image. The original plate of this first photograph, called “View from the Window at Le Gras”, is now permanently exhibited in the Harry Ransom Center of the University of Texas, at Austin. However, it’s quite curious that, as a matter of fact, the foto appearing as “the first of ever” in historiographic books is just a watercolour reproduction that had been realised by the historian of photography, collector and photographer Helmut Erich Robert Kuno Gernsheim, in about 1952, without even a comparison with the original one. Besides, also the second earliest known photo representing a still-life of a set table taken by Niépce in 1827 had been, in fact, survived up to the early 20th century but, unfortunately, the original glass one is presumed to have been accidentally destroyed. However, a late 19th century printed reproduction of it is still available nowadays. You can see both of these important ancient pictures above, in the Italian Version.

Afterward, a new photographic process was officially recognised by French Government in 1837, even rewarding its inventor with a life annuity for artistic achievements thanks to the French mathematician, physicist, astronomer and politician François Jean Dominique Arago. We are talking about the “Daguerreotype”, created by the French artist, physicist and chemist Louise-Jaques-Mandé Daguerre. Using silver iodide on silver-plated copper, this innovative method allowed Daguerre to produce a latent, monochrome, positive image with surprising shades and details, later on defined properly as a “mirror with a memory” by the US doctor, teacher and writer Oliver Wendell Holmes in his essay called “Sun-Painting and Sun-Sculpture”. Notwithstanding its being fragile and unreproducible in multiple copies, daguerreotype was such a revolution that over 30 mln plates would have been produced up to 1860’s; thus being universally appreciated as well as inspiring for many artists all over the world. Nowadays, only a few of the Daguerre’s original plates have been survived, and it’s really interesting that one of the first and rare original daguerreotypes of Alphonse Giroux (the brother-in-law of Daguerre), dating back to 1839 with clear signature and stamp of Giroux on the plate, is now conserved in the Public Library of Imola. It was given by the imolese opera singer and paintress Anna Fanti in 1843, together with the second edition of the famous Daguerre’s manual «Historique et description des procédés daguerréotype et du Diorama»; explaining the daguerreotype process. It’s a real badge of honour for Italy, as only 12 original Giroux’s daguerreotypes seems to be still intact nowdays. Some of the first daguerreotypes are showed above, in the Italian version, and you can see on-line many other European daguerreotypes too; thanks to “Daguerreobase” or by the on-line digital library of the UE Cultural Heritage “Europeana”.

In the meanwhile, another photographic method was being developed in UK. In fact, in 1835, the British, polymath and pioneer of Victorian photography Henry Fox Talbot invented the “negative/positive” method (also called “Calotype”); a process which would have been soon the basis of the analog photography. Using together silver iodide (as a light-sensitive material), paper, little hand-crafted cameras and a slow “shutter speed” (thus exposing paper for about thirty minutes), that innovative process made it possible to obtain, for the first time ever, a little negative image (where lighted areas became dark while shadows turned out bright) characterised by its being reproducible in more positive paper copies. Nevertheless, calotype wouldn’t have gained a strong commercial success, first and foremost because Talbot was late in presenting his invention to the Royal Society; thus being preempted by Daguerre. Besides, calotypes were quite blurry if compared with daguerreotypes; therefore being less appreciated by the public. However, the emerging printing-press and newspaper industries really valued that new method and, nowadays, Talbot is fully recognised as the undisputed author of three important achievements; thus leaving his mark on history. Firstly, he was the author of the first photographic negative (1835). Secondly, he wrote and commercialised the first illustrated book with applied photos inside (“The Pencil of Nature”, 1844-1846). Thirdly, he invented the photographic process called “contact sheet” (which would have led the market for more than 100 years since 1860s). Nowadays, the Fox Talbot Museum at Lacock in Whiltshire, once home to Talbot, in fact explores the history of Photography, including lots of his works and the earliest surviving photographic negative he took in 1835; representing a small window in the Lacock Abbey’s South Gallery. Some of the Talbot’s calotypes are showed above, in the Italian version.

All things considered, I think that all of these pioneers deserve a big thanks, undoubtedly. As a matter of fact, without their efforts, Photography wouldn’t have realised all those little but precious achievements that have lead it to be such an important and versatile instrument up to now, being in fact able to guide, surprise, amuse and charm, as well as break or shake, whatever the field is from the Arts to documentation, thus stricking so deeply our emotional chords as, probably, we could have never imagined before.

Sources and Photographs: please, see Italian version.